FABRIZIO LOSCHI SOLCHI TRACCIATI TESTIMONI

Solchi Tracciati Testimoni Fabrizio Loschi

Solchi Tracciati Testimoni Fabrizio Loschi

 

Valeria Tassinari

Solchi, tracciati, testimoni

Non serve andare oltre il primo sguardo per capire che, con le sue figure ritagliate e solide, Fabrizio Loschi lascia esplicitamente aperta la porta dei “ritorni”, citazioni e memorie di altre storie, di altre opere, di altri tempi. Il lavoro dell’artista appare, infatti, come la rilettura di un tempo interiore, un tempo appartenuto ad altri e fatto proprio vagando tra i temi dell’arte dei primi quarant’anni del Novecento, un’eredità che per lui è morale, immortale, intoccabile e segna dunque profondamente il suo immaginario. Dipinti, sculture, disegni e taccuini, preziosi e a lungo lavorati, come appunti di un viaggiatore che conosce l’irrequietezza dello sguardo e del cuore, costruiscono un repertorio dall’impatto vagamente anacronistico, eppure rigorosamente attuale nella volontà di riponderare la modernità dell’arte. In Italia, impossibile negarlo, l’eredità di quanto è accaduto nella prima metà del Novecento ha un peso specifico immenso. A distanza di vent’anni dalla fine del secolo, giusto il tempo di una generazione, siamo, forse, finalmente pronti per ripensare a quel periodo in modo più libero, senza velature ideologiche, ma senza paura di dichiarare la nostra nostalgia per le struggenti verità che ci ha rivelato. C’è consapevolezza degli archetipi, nel regesto di forme che Loschi restituisce nelle sue opere: le linee taglienti degli anni Trenta, la semplificazione della natura e la monumentalità di Sironi, i cavalieri di Arturo Martini, il riuso dei materiali dal sapore avanguardista e persino certi indefinibili azzurri, che fanno pensare ai pittori di Margherita Sarfatti. Ma la devozione non è mai semplice imitazione, e così per l’artista l’angelo della Storia è uno che ha voluto scendere dal cielo per misurarsi con la terra. Affascinato dalla figura umana, Loschi propone ripetutamente l’icona dell’angelo dimezzato per scelta, uno che ha smesso di sorvolare per poter scavare più a fondo, uno che viaggia da solo per lasciare il segno del suo cammino. La testimonianza dell’angelo mutilato è la traccia dell’ala, un solco in cui cercare frammenti nella profondità della memoria, ma è anche l’aratro, che spacca e frantuma, per preparare il campo alla nuova semina.   

 

Solchi Tracciati Testimoni Fabrizio Loschi
TERRA_200_x_100_cm._2019

 

Tracciando un pensiero a te

Quando le prime avanguardie artistiche del secolo scorso iniziarono a sgretolarsi, nell’incendio iconoclasta che avevano generato, il “ritorno all’ordine” rappresentò anzitutto il coraggio di un un nuovo agire.

L’abbandono consapevole della coralità dei primi manifesti riporterà difatti nuovamente al centro la figura del singolo artista con le sue ricerche e il suo personale carico di responsabilità individuali.

A mio avviso è da questo lascito ingombrante e rumorosamente eterogeneo che si origina quella figurazione mediterranea e arcaica che, con ottusa determinazione, persegue Fabrizio Loschi. 

Attraverso una grammatica formatasi tra la ricerca delle proprie radici estetiche e la consapevolezza di una solitudine intellettuale, diventata materia di costruzione e punto d’ascolto  interiore, Loschi genera simboli ed evoca citazioni filosofico  letterarie che si mescolano tra loro per dare corpo a visioni di ritorno, verso un mondo altro volutamente atemporale, agnostico; un mondo permeato da  una spiritualità, che per ammissione dello stesso autore”non è mai stata ostaggio di alcuna ortodossia religiosa”.

In questo contesto di lontananza emotiva dalla quotidianità, dalle facili appartenenze, dalle promisquità ideologiche mi sento di affermare che il lavoro di Loschi guarda negli occhi, sempre con malcelato senso di sfida, la fragilità della “contemporaneità di maniera” che ad oggi pare nutrire il mondo dell’arte.

Recuperare materie e materiali come rigenerazione, anzitutto personale, di vite; attivare seconde possibilità in funzione di ipotesi che il progetto iniziale non prevedeva.

Siamo all’interno di una genesi circolare sospesa tra casualità dell’incontro e determinazione dell’agire; il rumore di fondo di un’urgenza non negoziabile è quello che cuce tra loro i grandi disegni, le ceramiche o i progetti scultorei monumentali: sono tutte proiezioni di una visione interiore fortemente distillata, che per ultima si stende sul percorso accidentale dell’accadente.

E’ un operare dove manca completamente il senso della malinconia; è una scrittura senza rimpianti che ci narra di una consapevolezza dell'”essere stati” e di una volontà di essere in divenire.

Fanco Capoglio

ottobre 2019

Sète (F)

 

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