Anni fa, venne a cena da me Marco. Io ero rientrato da poco da un lungo soggiorno fuori zona. Come spesso capita a cena tra amici, si parlò dal serio al faceto. Oggi, mi ritrovo tra le mani, un “qualcosa” che, indubbiamente, risale ad una parte di ciò di cui parlammo. Evidentemente, se Marco mi ha donato, dedicandomelo, un suo “lavoro” che si basa – contraddistinguendosi per la sua unicità – su una “macchina da scrivere”, credo sia assodato che una parte del nostro scambio di quella sera, fece breccia in Marco. In maniera netta. Contraddistinta. Questa sua opera, di cui mi innamorai all’istante – me la consegnò nel dicembre scorso – mi ha deliziato e turbato, all’unisono. Deliziato perché il tripudio della potenza creativa esce, viene incontro all’astante. Deliziato perché lui, Marco, ha percepito sin sottopelle, capendone in toto il senso, di una parte del discorso che gli feci. Deliziato perché, pur essendo un amico da oltre venti cinque anni, Marco ed io, non ci siamo poi frequentati così assiduamente. Deliziato perché quando vedi che una persona in fondo “estranea” – lui era solito partecipare alle serate in discoteca, dove io facevo le PR – riesce leggerti così profondamente, senza avergli dato mille input: ti scuote. Non hai alternative; almeno a mio avviso.
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Questo è l’Artista. L’individuo in grado di percepire, cogliendo negli abissi, quali sfaccettature, seppur sfumate, sono sotto gli occhi di tutti. Ma che veramente pochi, anzi rari, sono gli esseri in grado di leggere ed interpretare nell’altrui. Turbato, perché mi ha messo – come un montante – davanti alle mie ombre. Scrivere, è stato il mio salvavita. Marco l’ha capito. Non si tratta di mera intelligenza o “semplice” sensibilità. Nemmeno so spiegarlo di cosa si tratti. Sta di fatto che, più di così, certamente, non poteva che fare altro centro. Più azzeccato intendo. Quando qualche settimana fa sono andato in studio da lui per scattare l’opera incorniciata (l’avevo portata un paio di mesi prima ad incorniciare), dopo aver scattato ed avergli io fatto “un’intervista”, gli ho dato uno strappo. Mentre eravamo in auto ed ancora lo ringraziavo per questo suo regalo, tanto apprezzato – personalmente, lo reputo un tributo particolare – per quanto sopra premesso, Marco ancora mi incalzava su determinati discorsi. Su come mi vede lui. Come apparii agli occhi della sua anima. Quanto, quella sera di una decina di anni fa, abbia letto così profondamente nella mia persona. La sua essenza è stata in grado di interpretare il vivere ed il vissuto – soprattutto il trascorso – della mia. Peraltro, da me mai esplicitato a parole. Né durante quella cena, né mai in altra circostanza.
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Eccolo il risultato. È qui: in ottanta centimetri di larghezza per cinquanta di altezza. Il fuoco che esce da una macchina da scrivere (?): è come Marco mi vede. Cosa ci siamo detti mentre in auto percorrevamo il tragitto in cui gli ho dato uno strappo (?): sono “segreti” di due animali dall’anima affilata. Grazie Marco. La tua coerenza, in un mondo di opportunisti, ti rende veramente una persona rara. E se non è coerente quanto hai fatto, raffigurando la visione che hai di me, spiaccicata a quella di cui parlammo in quella serata, non ho proprio idea di cosa lo sia o possa esserlo. Ora prenderà posto in una parete. Sì, ma, non vicino all’arcangelo che mi donasti nel giugno 2009; durante la serata alla fondazione Campari.
Ti abbraccio dude.
Pollone, 27 giugno ’22
Roberto Dorigo